Bozza
 
Dalle Origini al 1900

Col termine «cimano», fin dai documenti più antichi, s'intendeva indicare tutta la zona che sta a Nord del torrente Repudio, delimitata ad Ovest dal Colle delle Valli e dal Colle Longo, ad Est dal Colle di Susans e a Nord dal fiume Tagliamento.

Il toponimo è giunto fino a noi nei documenti autentici nella forma di «Ziman-Zimani-in Zimano»; questa precisazione è importante per chiunque voglia ricercare seria­mente il significato originale del nome di questa porzione del territorio, ormai interamente sotto il comune di San Daniele.

Recenti rinvenimenti archeologici, sia presso la stazione ferroviaria, sia verso ponente, indicano la sicura presenza di abitanti in epoca romana; i reperti abbondanti già recuperati fanno pensare al Il secolo dopo Cristo.

Alcuni toponimi, tuttora esistenti in zona e documentati dal '200, fanno pensare ad un ripopolamento della medesima ad opera dei coloni slavi, chiamati dai Patriarchi di Aquileia dopo le tragiche incursioni degli Ungheri che, a cavallo del 900 dopo Cristo, devastarono la pianura friulana. Ecco alcuni dati.

- Slavo è il toponimo «Prataront» che ancora indica la zona a ponente del cimitero e la vasta piana verso il Tagliamento ed il monte di Muris; il termine significa «terreni erosi dalle acque dei fiumi».

- Slavo è il termine «Alòc» che indica il torrentello a confine col territorio di Ragogna; significa «fiume nel bosco» dallo slavo «na­logu».

- Sappiamo da molti documenti del '300 presso la biblioteca Guarneriana di San Daniele che in cimano esisteva un piccolo villaggio chiamato «Lùsiz» o «Làusiz»; il termine è ancora slavo e significa: prati ampi esposti al sole (come Lusnizza e Lussari in Val Canale!). I documenti ci fanno sapere che le ultime case di quel villaggio furono abbandonate perché gli abitanti non riuscivano più a salvare i loro raccolti dalle devastazioni dei cinghiali, dei caprioli e dei cervi, e le loro mandrie dai lupi e dalle linci. Questi animali fre­quentavano tranquillamente la zona, rifugiandosi poi nelle inaccessibili selve dei versanti Nord del monte di Muris e del monte di Susans.

Tutto questo induce a pensare ad un'origine slava anche per il topo­nimo «Ziman» che, nel caso, signi­ficherebbe «zona fredda», dallo slavo «zima», che significa inver­no; a cimano non mancano mai correnti d'aria fredda di tramonta­na e di bora! Bisogna però rilevare che in zona ci sono molti toponimi di origine più antica, anzi molto remota. Ne ricordiamo alcuni.

- Clapàt: è il nome pre-romano che indica oggi l'isolotto tra i due ponti della strada e della ferrovia; sappiamo con assoluta certezza che fino a metà del '600 l'isolotto formava un tutt'uno con il cimano, ma nelle straordinarie inondazioni dei due successivi decenni il fiume Ledra devastò la zona, tracciando il nuovo corso che oggi si vede.

- Palla: è il nome pre-romano che indica le prime alture del monte di Susans, sulla strada per quella località; ed è all'origine del cogno­me omonimo di diverse famiglie.

- Pecòl di Cot: è il nome originale dell'altura di Borgo Ceschia; è un toponimo latino.

Latini sono poi i toponimi: Silva (bosco) Zimani, Paludetto (ora azienda de Concina), Ronche o Ronchie (bosco tagliato la zona sulla strada per Susans) Colle Longo ecc.

- Braidate: il nome che indica la piana di cimano superiore è di ori­gine longobarda.

Sono latini i nomi dei numerosi rivoli che intersecano la zona:

Rivo della palude, Gurghisit, Storto ecc., come pure lo stesso nome dell'emissario del lago che non è «Repudio», come abitual­mente si scrive, ma Riu-pudi, dal latino Rivus-putens, così chiamato per le esalazioni delle acque spes­so stagnanti del torrentello di fre­quente in secca.

Di origine germanico-gotica è il nome  «Colle  delle  valli» (Weld=bosco), come pure il termi­ne «Rengane», che indica i terreni adiacenti al Repudio (Reghen: fiume serpeggiante). Interessanti sono poi in loco i toponimi «Pra' Popòn»  (dal  latino  "po­pulus"=pioppo) che indica la piana della strada nuova e della ferrovia; ed il termine «Pissin» ("silva spis­sa": bosco fitto) che indica i prati sotto il colle di Susans.

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Il '300 ed il '400 del cimano

Per comprendere le vicende stori­che del cimano bisogna tener pre­senti alcune premesse.

- Per la appartenenza territoriale, il cimano era diviso tra le due Giurisdizioni di San Daniele del Friuli e di Susans (Majano dopo il 1816, anno di nascita dell'attuale comune di Majano). Il confine tra le due Giurisdizioni partiva ad Est dell'attuale azienda agricola de Concina e la seguiva verso Nord fino ad innestarsi sulla strada pub­blica San Daniele-cimano, che costi­tuì confine fino all'affacciarsi sulla Braidate, dove questo seguiva la ferrovia.

Le due zone ebbero due distinte storie di sfruttamento e di servizio e quindi di sviluppo.

Infatti la zona soggetta a San Daniele costituiva da tempi remo­tissimi il vastissimo «Feudo Ministeriale Comunale della Magnifica comunità di San Da­niello», mentre la zona piana sog­getta a Susans era suddivisa in pic­cole proprietà «Allodiali», cioè private. Il Colle o Monte di Susans era invece per la maggior parte Feudo dei Nobili Di Varmo prima, Colloredo poi, con servitù passive, per i pascoli e la caccia, verso il comune di San Daniele; Susans era legata anche religiosamente a San Daniele e solo alla fine dell'800 divenne parrocchia indipendente; prima il suo sacerdote era chiama­to «terzo vicario di San Daniele».

Il Feudo comunale del cimano si estendeva per una superficie di oltre 335 campi friulani, come risulta dalle planimetrie giacenti in Guarneriana. Si trattava di una concessione antichissima dei Patriarchi di Aquileia ed era un Feudo ministeriale, cioè un Feudo per il quale la Comunità di San Daniele doveva corrispondere pesanti servizi ai Patriarchi, oltre alla corresponsione di certe regalie come «affitto».

San Daniele aveva altri beni in Feudo per un complesso di oltre 1600 campi. Ecco gli oneri che gravavano sul Comune per questi beni.

- Fornire a proprie spese 25 sol­dati con un capitano in caso di guerra;

- offrire ogni anno al Patriarca 10 galline con 200 uova ed 11 carri di legna da fuoco; kg. 3,500 di per­nici; queste regalie erano dovute per cimano;

- pagare 20 stari di miglio e 20 di sorgorosso (circa ql.33) ad anno;

- fornire vitto ed alloggio al Patriarca ed alla sua corte per 3 giornate ad ogni sua venuta a San Daniele, pagando anche le spese di viaggio;

- a tutto questo, a partire dal '400 si aggiunsero dalle 4 alle 6 coppie di «boni persutti».

Naturalmente San Daniele era molto attenta allo sfruttamento di tutti i suoi beni pubblici; si trattava di uno sfruttamento «comunitario» regolato dalle antichissime clauso­le inserite negli statuti comunali del '200.

A parte questo sfruttamento silvo­-pastorale, San Daniele curò pure uno sfruttamento, se così si può dire, industriale della sua zona, con tre tipi diversi di attività.

a) L'uso dell'odierno isolotto del Clapàt come «porto del legname», per l'approdo delle zattere che scendevano dalla Carnia e dalla Val Canale con grandissime quan­tità di legname da fuoco e da lavo­ro; San Daniele si servì di quel  porto per tutte le sue opere pubbli­che e private fino all'inizio del '900; se ne servirono anche i Patriarchi per le loro opere in Udine e persino Venezia per la for­tezza di Palmanova. Nel tardo '700 i de Concina ottennero da San Da­niele di poter realizzare sul Clapàt un grande dock per immagazzinar­vi il legname.

b) Varie zone furono usate per la costruzione di fornaci da calce e da laterizi e ciò è documentato fin dal 1373 e durerà fino a tutto l'800. Molte famiglie, tuttora esistenti, sono nominate nei documenti che interessano il cimano fin da quelle remote epoche; provenivano da San Daniele, da Ragogna, da San To­maso e da oltre Tagliamento.

c) La zona del Clapàt fu scelta dalla fine del '400 per la costruzio­ne dei mulini della comunità; un complesso molto grosso, con 5 pale per le macine, una pala per la segheria delle taglie, una per il magli ed una più piccola per una grande mola per aguzzare.

Le attività dei mulini cessarono sul Clapàt col 1670, poiché il Ledra, tracimato ormai più volte a Sud dell'isolotto, rese impossibile la adduzione delle acque dal Tagliamento per le pale dei mulini. Esistono in Guarneriana interes­santissimi inventari di ogni parti­colare dei macchinari e dell'arredo dei mulini.

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Il '500: un tentativo di urbanizzare stroncato da San Daniele; il cimano è ancora infestato dai lupi

Per inciso ricordiamo che sul punto più alto di borgo Ceschia fu realizzato nel 1504 su concessione di San Daniele il capanno in muratu­ra dell'uccellanda dei Nobili di Varmoo, poi de Concina (vedi sopra pianta della Braidate del 1773).

Le vicende dei pascoli pubblici, dello sfruttamento del bosco, delle fornaci e dei mulini di cimano sono abbondantemente documen­tate nell'Archivio storico comuna­le presso la Guarneriana; esistono mappe dettagliate dei Beni Feudali, dell'isola del Clapàt (1668), della piana della Braidate (1773), della casa della fornace Colutta ecc. Va però precisato che San Daniele fu contraria in linea di massima ad ogni forma di urbaniz­zazione, volendo con tutti i mezzi che il suolo rimanesse ad uso pub­blico.

In questo suo atteggiamento segui­va la lungimirante politica dei Patriarchi che costantemente ave­vano favorito l'estendersi dei Beni comunali presso le singole comu­nità e Ville, onde venire incontro ai ceti più umili della popolazione. Purtroppo per la zona del cimano soggetta a Susans le notizie sono molte scarse, causa la perdita dell'archivio parrocchiale, andato quasi interamente distrutto nell'in­vasione del 1917; qualcosa si sa per le interferenze e le cointeres­sanze con la zona di San Daniele, ma non è molto.

Per la zona soggetta a San Daniele possiamo dire, coi documenti alla mano, che a partire dal 1510 ci fu un serio tentativo di urbanizzare la Braidate e le Ronche. Erano anni di gravi crisi agro-alimentari, aggravate dalle ripetute incursioni di Massimiliano I d'Asburgo con­tro Venezia. San Daniele, pienamen­te coinvolta nelle vicende, pensò di venire incontro ai disagi delle famiglie, lottizzando i terreni del Feudo comunale del cimano e concedendo i lotti alle rispettive famiglie in usufrutto.

La situazione di precarietà si pro­trasse nel tempo ed alcuni dei con­cessionari per necessità economi­che o per impossibilità di sfruttamento diretto dei fondi, cedettero i loro lotti a persone più capaci e.. più danarose che così ampliarono le superfici in concessione.

Il perdurare della situazione indus­se alcuni privati a realizzare in cimano alcune capanne per la rac­colta delle derrate e degli attrezzi; quindi qualcuno pensò ad edifici più solidi e duraturi, coltivando la speranza di acquisizione definitiva dei fondi. Ma San Daniele, sempre vigile ed attenta ai suoi diritti, ricorse ufficialmente al Patriarca-Principe, ottenendo la riunificazio­ne dei lotti e l'ordine di... demoli­zione di tutte le strutture murarie realizzate, pur assumendosi l'onere del risarcimento delle spese. Val la pena di ricordare il nome di alcune delle famiglie interessate diretta­mente nella vicenda.

- I Beccàriis nelle Ronche: la casa venne demolita e fiscalizzati i materiali, col risarcimento di L.485 d'argento;

- i Conti Ronchi di San Daniele;

- la famiglia Majano (Sandròt) allora abitante a San Daniele... e diversi altri.

Così il cimano ritornò allo stato primitivo di Bene comunale in uso silvo-pastorale della Comunità di San Daniele. Le uniche abitazioni documentate del '500 restarono perciò quelle precarie presso muli­ni e fornaci. La vita umana in cimano, non era troppo movimen­tata, anche se la strada verso San Daniele era quotidianamente percorsa da sequenze di somarelli stracarichi delle granaglie da por­tare ai mulini del Clap; c'erano anche i pastori delle mandrie dei buoi di Sopracastello, di Zulins e Bronzacco e la mandria dei cavalli di San Daniele, ma ciò non costituiva un sufficiente deterrente per i lupi 'be ancora infestavano la zona.

San Daniele, oltre che armare con archibugio e pistolotti i pubblici pastori e i Custodes Tabellae (cioè i guardiani campestri) dovette emanare diversi decreti che pro­mettevano abbondanti compensi ai cacciatori di «Lovi»: il premio era raddoppiato se la vittima era una «lova», ossia una femmina lupo!

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Il '600 e l'abbandono dei mulini. Col primo '700 una nuova vitalità

A dir il vero la vita dei mulini sul Clapàt fu sempre problematica e molto costosa per San Daniele. Ogni tanto il fiume rapace si prendeva le sue rivincite, devastando i mulini e riempiendo di ghiaia i canali; sono sempre molto elevate le spese che periodicamente la Comunità dove­va affrontare per rimettere in sesto il complesso. Ma le cose divennero insostenibili quando, dopo la prima metà del '600 ripetute gros­se inondazioni gonfiarono talmen­te il Ledra da farlo tracimare a Sud del Clapàt, interrompendo la conti­nuità dei terreni tra cimano e lo stesso Clapàt. San Daniele corse ai ripari facendo intervenire numero­si esperti dalla Carnia, dal Canal del Ferro e perfino dalla fortezza di Palmanova; si costruirono dighe e roste, si spese un mare di soldi, ma tutto fu inutile quando i livelli dell'acqua si pareggiarono a Nord ed a Sud dell'isolato: non era più possibile ottenere la pendenza della corrente per muovere le ruote! Così nel 1670, col consenso di Venezia e del Patriarca, si deci­se di abbandonare i mulini di cimano, si recuperò ciò che poteva esser riutilizzato e si ottenne di costruire i nuovi mulini sul Corno, oggi detti «la Turbine», poiché a fine '800 vi fu installata la turbina di pompaggio per l'acquedotto meccanico di San Daniele, uno dei primi di tutta l'Italia.

Coll'abbandono dei mulini su cimano cala un discreto silenzio.

Ma dall'inizio del '700 si avverti­rono segni di novità e di trasforma­zioni radicali. San Daniele, stimo­lata dagli energici Patriarchi Delfino e favorita dalla sua indi­pendenza da Venezia, è tutta un cantiere di rinnovamento: si sta costruendo il grande monastero dei Domenicani, poi ospedale; inizia­no i lavori della ricostruzione del duomo; poi sarà la volta del grande edificio del Monte di Pietà, senza contare il rinnovamento delle opere private, come i palazzi de Concina, il Moretti, il Mylini ecc. Ciò porta l'intensificarsi dei lavori alle fornaci vecchie e nuove per la calce ed i laterizi in cimano e l'au­mento dei traffici al Porto per le forniture delle ingenti quantità di legnami necessari per le varie opere.

Nel 1752 i de Concina affittano dal Comune per 12 anni, con facoltà di rinnovo, un tratto dell'isolotto del Clapàt per un loro deposito di legna­me; essi intessono importanti com­merci con Venezia ove pure pos­siedono dei Docks. La quota annua d'affitto è di 1200 d'argento con la clausola del risarcimento degli eventuali danni al sito.

Nel 1758 un Zuliani di San Daniele ottiene dal Comune di poter costruire «un mulinetto in Ziman sul Rio dell'Acqua Caduta»: è quello che ancor oggi è detto «il Mulinàt».

Ma una svolta decisiva si ebbe dopo il 1762, quando San Daniele, soffocata dalle enormi spese per affrancare da Venezia, divenuta padrona per la soppressione del Patriarcato d'Aquileia, tutti i suoi Beni feudali decise, nonostante l'accanita opposizione dei ceti più poveri, di affittare i beni comunali di cimano per rinsanguare le sue casse esauste.

Se i concessionari delle affittanze erano signorotti di San Daniele, i lavoratori di campagna erano quelli che abitavano più vicino ai fondi! Infatti è del 1769 la prima notizia ufficiale negli Atti del Comune che tre nuove famiglie si sono stabilite nelle Ronchie; esse sono:

-i Palla

- Osvaldo Dreosto

- Gioseffo di Mont; ma non potranno usufruire dei pascoli pub­blici e dei boschi di San Daniele.

Nel 1771 anche i Battigelli di S.Tomaso ottengono da San Daniele di poter costruire una fornace in cimano. la concessione sarà per 15 anni con l'obbligo di fornire calce e laterizi a San Daniele per le opere pubbliche; se ne servirà anche Majano per la costruzione della chiesa parrocchiale ad opera dello Schiavi.

Nello stesso anno si stendeva il particolareggiato capitolato per la costruzione della grande fornace dei Colutta, con l'annessa grande casa di abitazione: è la prima casa degna di tale nome nella Braidate di cimano: è la casa «Agnola» di cimano Superiore!

Nel 1772 anche i Co. Ronchi di San Daniele presentarono domanda di concessione per una loro forna­ce in cimano, fornace che poi affittarono alla famiglia ebrea dei Luzzato, abitanti in San Daniele.

Il Porto di cimano era tutto un cantiere, per le esigenze della costruzione del Monte di Pietà e delle nuove navate del Duomo; la crescente vitalità indusse i Colutta a prospettare al Comune la rico­struzione di due moderni mulini, considerato che allora quello sul Corno era soggetto a periodi di stasi, per la magra delle acque; ma la proposta non ebbe seguito.

Ormai sull'Europa si stavano addensando le fosche nubi delle tragiche vicende napoleoniche che, per 20 lunghi anni, devasteranno molte nazioni e particolarmente questa nostra terra, ove più volte i contrapposti eserciti in lotta passe­ranno, come rulli devastatori ed oppressori, distruggendo o dilapidando la già povera economia delle comunità.

A partire dunque dal 1797, epoca della prima «calata napoleonica», San Daniele, pienamente coinvolta nelle alterne vicende belliche, fu colpita da onerosissime tasse di guerra che la costrinsero ad affit­tare «sine die» i Beni feudali comunali ai signori che le impre­stavano il danaro per le forniture militari, onde risparmiare i più volte minacciati «saccheggi» all'intera popolazione. Nell'al­ternarsi dei Potenti di turno, inutil­mente i ceti poveri organizzarono dimostrazioni pubbliche, vere sommosse, con occupazione dei terreni affittati, taglio dei boschi pubblici, spianamento e ripristino allo stato primitivo dei terreni ecc. Purtroppo gli amministratori di turno, non più di elezione demo­cratica, ma di nomina Prefettizia, scelti per legge tra i 50 maggiori possidenti (altroché «Egalité­Liberté»!) faranno intervenire la Polizia e le truppe militari a... spe­gnere ogni anelito di vera demo­crazia. Sono pagine dolorose, che non vanno dimenticate, per capire quelle trasformazioni sofferte che portarono le innovazioni dei tempi nuovi anche per cimano.

I protagonisti di quelle lotte fini­ranno in galera a San Daniele, a Udine e ai «Piombi di Venezia». fu una vera triste epopea per San Daniele e le valse il celebre detto del Carducci: «Un bel nido di cat­tivi uccelli»... ma lui nulla sapeva delle sofferenze e dell'estrema miseria, arrivata allo stadio di vera miserabilità che, con quelle lotte, i ceti più poveri di San Daniele aveva­no cercato di risparmiare a se stes­si ed ad altre Comunità della Piccola Patria. Ne va dimenticato che proprio in quegli anni (1815-17) scoppiò il triste fenomeno della emigrazione di massa, una delle conseguenze della vendita dei vasti Beni comunali tipici del Friuli patriarcale.

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LA TRASFORMAZIONE FONDIARIA

(Guarneriana: archivio storico comunale-delibere e bollette)

Con le tragiche vicende delle guerre napoleoniche inizia per il cimano quella trasformazione fondiaria che segna l'avvio della urbanizzazione e dei tempi nuovi per quel lembo del territo­rio che passerà poi interamente sotto il comune di San Daniele. già si sono spie­gati i motivi che portarono la zona a passare da patrimonio pubblico comunale a patrimonio privato col conseguente capo­volgimento completo della sua destinazione d'uso. Prima: pascolo, bosco, fornace etc. Poi: agricoltura, allevamento, etc.

Qui si stendono in ordine crono­logico alcune notizie importanti in riferimento a quella trasfor­mazione.

1783 - Stante la grave penuria di legname da fuoco, si delibera di eseguire delle piantagioni di pioppi sull'isola del Clapàt.

Sono già dati in affitto a privati: l'isola del Clap per lo sfalcio, per 261 lire annue; il Paludetto, ora azienda de Concina, per 230 lire annue; il Bosco del cimano, per il taglio, per 110 lire annue. Non si dimentichi che l'operaio gua­dagna 1,50 lire al giorno.

1788 - Si rifà il ponte in legno sul torrente Repudio per andare a cimano; e si decide di prepa­rare il disegno per il ponte in pietra.

1791 - Il Comune stende un piano di affittanza di tutti i beni comunali del cimano.

1793 - I capi-borgo di Sopra-castello presentano in Comune una supplica «perché si prenda­no urgenti provvedimenti per aggiustare la strada del cimano, perché ormai è reso impossibile il passaggio dei numerosi car­riaggi che trasportano il legname delle zattere dal Tagliamento e continuamente vanno e vengono per detta strada».

1795 - Il Comune ... stante i gravissimi debiti fatti per ammo­demare le strade e fare i ponti comandati da Venezia ... ordina di preparare un vasto piano di affittanze dei beni comunali onde pagare i debiti enormi per le strade...» Venezia applaude!

1797 - L'isolotto del Clap ed il Paludetto vengono sfalciati due volte nella stessa stagione, per fornire il fieno richiesto dalla cavalleria francese di Na­poleone. Anche la paglia delle paludi sarà devoluta ai militari. Il Comune è costretto ad affitta­re a tempo indeterminato la brai­date di cimano alla famiglia Luich ed alcuni campi ai Flabiano da San Daniele, per debiti di guerra.

1797- 28 dicembre - I contadini di San Daniele, in rivolta per le durissime condizioni di miseria e sfruttamento per le prime vicende napoleoniche, si recano in massa (oltre 400> al saccheg­gio del Bosco del cimano: tutto viene raso al suolo: l'operazione dura tre giorni ininterrottamente. Il Comandante francese della piazza di San Daniele, richiamato dai rappresentanti della munici­palità democratica di nomina prefettizia, si reca sul posto con i gendarmi; ma, inteso che la gente non se la prende con i francesi, ma con «quei mangioni degli amministratori comunali» ascolta..., ed applaude all'ini­ziativa popolare.

1798, gennaio - Morta la repubblica di Venezia, il Friuli passa sotto l'Austria; i nuovi padroni tentano di ristabilire le amministrazioni veneziane; ma poi cedono allo strapotere dei signori; Vienna ordina una seve­ra inchiesta giudiziaria e con­danna i responsabili della rivolta da 3 a 7 anni di carcere; alcuni finiscono ai Piombi di Venezia.

L'Austria accelera e facilita l'alie­nazione dei beni comunali... per tassare i passaggi di proprietà, le eredità ed i loro redditi.

1802-1805 - I beni pubblici di cimano rendono: l'isola del Clap 605 lire (1802) e 705 (1805>; il Paludetto 350 lire (1802> e 430 (1805): il Bosco 150 (1802) e 152 (1805).

1807 - I Rizzi di Ragogna, che hanno imprestato 6 mila ducati d'argento a San Daniele, donati a Venezia come estremo tentativo di salvataggio, vengono saldati per 21.376 lire d'argento napo­leoniche con altrettanti terreni pubblici in cimano e in San Daniele (è ormai in uso la lira napoleonica: 1 lira=1 giorno di lavoro).

1809 - Vengono affittati altri 84 campi di beni comunali in cimano.

1811 - La Braidate, per 14 campi, viene permutata alla famiglia Carnier, ormai da tempo stabilita in San Daniele. Il Colle delle Valli è dato in affitto ad un Santo Pagnutti a tempo indeterminato, per debiti di guerra. Per lo stesso motivo il Bosco del cimano passa ai Pittiani.

Alcuni prati, per altri 6 campi, per debiti di guerra, vanno a Giacomo Bianchi.

1822 - Orami è «rotta comple­ta»: ben 1000 campi di beni comunali di San Daniele vengono lottizzati e dati in affitto: i signo­ri fanno la parte del leone.

1839 - Questa volta non si tratta di affittanze, ma di alienazioni. Riprendono in grande stile le sommosse popolari e le occupa­zioni, con le mandrie, dei pasco­li e dei beni comunali, anche in cimano. Le cose si aggravano al punto che nella primavera del 1841 l'Austria invia in pianta stabile a San Daniele un corpo militare di oltre 400 soldati per sedare e prevenire le sommosse; ma l'alienazione di pubblico patrimonio prosegue ininterrotta, col favore di Vienna. -

1843 - Il Tagliamento travolge e distrugge due fondi del Saletto.

1845 - Lottizzazione di 275 campi di beni comunali, di cui diversi in cimano. La strada del cimano viene "riordinata" per consentire lo sfruttamento agri­colo della zona.

1847 - 28 dicembre: l'isola del Clap viene venduta per 6 mila lire italiche.

1849 - Per la rivolta del 1848 l'Austria ha imposto anche a San Daniele delle pesantissime tasse; il Comune vende il Colle delle Valli per 69 campi ed il Paludetto del cimano di campi 24, 1/4 ai Concina.

1850 - Vengono alienati quasi tutti i residui dei beni comunali del feudo del cimano. Così spa­riva, travolto dal vortice delle guerre e dall'ingordigia dei benestanti un patrimonio ingen­tissimo, riservato da secoli a beneficio dei più poveri.  

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La storica rivolta del 1841

13-18  maggio - Le vicende del 1848 ebbero in Friuli un clamo­roso precedente negli episodi che culminarono nell'assalto alla sala consigliare della Loggia comunale da parte di tutto il ceto contadino di San Daniele, mentre i consiglieri, con l'imperial regio commissario, si preparavano all'assegnazione in affitto dei nuovi numerosi lotti di beni comunali. I fatti destarono tanto scalpore da far accorrere in forze l'imperiail regio esercito di sua maestà asburgica, le cui truppe stettero più mesi in stanza a San Daniele, onde impedire il rinno­varsi di dimostrazioni che turba­vano il buon ordine costituito dei domini imperiali. La repres­sione portò ad una inchiesta di polizia su ben 103 capifamiglia; all'incarceramento di 67 di essi a Udine, dei quali 45 furono trat­tenuti in carcere da maggio a settembre, mentre i rimanenti 22 vi rimasero fino al febbraio 1842.

Cinque di loro subirono regolare processo e furono condannati a pene varianti da un anno a 8 mesi di carcere duro a Venezia. Questi furono: Lucia Candusso, coniugata Bagatto di anni 40, madre di 7 figli; Pietro Battellini di anni 60; Tommaso Pagnutti; Antonio Moroso detto Padrin; Giuseppe Buttazzoni detto Batel. Tutti di So­pracastello e Bronzacco.

San Daniele, nel suo tradizionale stile, seppe farsi beffe anche della dura ed imponente repres­sione asburgica, facendo circola­re ed esponendo alle colonne della Loggia il seguente «procla­ma» fasullo:

«Notizia ufficiale - Lì 8 mag­gio 1841 - Lì 17, alle ore 8 e mezzo S.A.I. (Sua altezza reale imperiale) ordinò l'assalto del forte di San Daniele, difeso da 10 pezzi di cannone, un obice e 700 uomini. L'attacco, diretto da S.A. sopra 5 colonne è compiu­tamente riuscito; a 10 ore ed un quarto noi eravamo padroni del forte; la metà della guamigione è stata passata a fil di spada. Sua Altezza, si è recata di perso­na sul posto per fermare la stra­ge. 400 uomini circa sono stati salvati. L'armata imperiale marciò in seguito su Tarvis, ch'era stato preso a passo di carica il giorno 16 dall'avanguardia, dove si trovavano la divisione Fontanelli e la brigata Bon­fanti...».

Naturalmente, accanto a queste «lepidezze», circolarono in quei giorni per iscritto a San Daniele autentiche minacce.. seppur in rima. Eccone alcune: «Narducis ti tajaran a fetucis»; «Fran­ceschinis ti mazarin a ûs di giali­nis»; «Pilàr (Pellarini) ti mazarin cul Cilàr (fucile tirolese)»; «Un deputàt minchiòn, chel altri bricòn; e il segretari ladròn».

Le vicende avrebbero potuto avere ben più tragici epiloghi se il buon senso dello stesso impe­ratore d'Austria-Ungheria, tirato direttamente in questione dal­l'autorità ecclesiastica, non fosse intervenuto ad imporre una radi­cale modifica dei «capi d'impu­tazione».

Nel primo censimento delle famiglie, realizzato sotto Casa Savoia nel 1871, risul­tano censite in cimano, ai rispettivi numeri civici, le seguenti persone, come capo4amiglia, in territorio di San Daniele:

Ceschia   Giacomo   fu GioBatta, n. 1819 a cimano;

Ceschia   Giuseppe   fu GioBatta n. 1822 a cimano;

Della Bianca Giovanni fu Valentino n. a Buia;

Ceschia Maddalena nata Celotti

Molinaro Daniele fu Andrea nato a Cornino

Toniutti Ceschia Maria (o Luigia?).

Era tutto.

Comunque, con la vendita ai privati del patrimonio dei Beni comunali, già comple­tata sotto l'Austria, incomin­ciava veramente la nuova era del cimano.

Il passaggio sotto il Regno d'Italia segnò nel tardo '800 un periodo di intenso rinno­vamento: strade, ponti, fer­rovie, acquedotti ed energia elettrica furono al centro dell'attenzione di tutti i Comuni, insieme ad un rin­novato impegno per la pub­blica istruzione.

Ecco alcune interessanti notizie in proposito che riguardano la frazione di cimano dal 1874 al 1943, desunte direttamente dai verbali della Giunta comu­nale di San Daniele.  

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Il Passo-barca sul Tagliamento tra cimano e Cornino da fine '800.

1888 - Il Passo-barca sul Tagliamento esisteva già da secoli, ma era sempre stato considerato un affare piut­tosto privato. San Daniele si era preoccupata di control­lare la cosa solo in momenti di emergenza, per motivi bellici o per controlli sanita­ri o doganali, ma non di più. Era giunto il tempo di dare una veste di ufficialità ad un servizio che ormai si rivela­va di discreta importanza per i traffici personali e commerciali.

Già nel 1812 Napoleone I aveva fatto costruire la stra­da che ancora collega diret­tamente la Val d’Arzino con Flagogna-Cornino-Peonis­Trasaghis e quindi con l'Osovano e il Gemonese; essa facilitava anche i com­merci di San Daniele, un po’ compromessi dalle deviazio­ni apportate dalle nuove fer­rovie per Udine. Si era rea­lizzata la Tramvia Udine - San Daniele ed era in program­ma la Precenicco - Gemona per San Daniele; ma in attesa che maturassero i tempi per i ponti di Pinzano e di cimano, bisognava garantire un servizio sicuro e continuo con la destra Tagliamento al Passo-barca di cimano.

Ecco alcune notizie ufficiali in proposito.

3 marzo 1888 - Con la deli­bera ufficiale il Consiglio comunale ordina l'istituzio­ne di un «servizio permanen­te  di  Passo-barca  al Tagliamento in cimano per Cornino».

19 agosto '88 - Si vorrebbe appaltare il Passo-barca a Domenico Molinaro fu Daniele, nato a Cornino nel 1841, ma residente da tempo a cimano.

In aprile si era steso il Capitolato d'appalto ed il 6 agosto la Provincia aveva fatto  un sopralluogo. L'appalto viene deliberato a Domenico Molinaro. L'ap­palto avrebbe dovuto avere la durata di 9 anni; ma in realtà il 27 novembre 1895 il Comune rescindeva il con-tratto col Molinaro che aveva avuto, sequestrate le due barche (una per il servizio da cimano al Clapàt e l'altra dal Clapàt a Cornino) dalla ditta fornitrice, per debiti.

12 febbraio '96 - Si dovette adire le vie legali per il pro­blema ed il Tribunale di Udine rescinde con sua sen­tenza il contratto   col Molinaro. La Giunta comu­nale affida al sindaco le trat­tative per un nuovo contrat­to con le vecchie regole e l'unica modifica alle tariffe:

si pagheranno centesimi 8 e non 5 a persona, per il tra­sbordo. Non si dimentichi che la paga giornaliera di un operaio è al tempo di 1 lira al giorno. Nuovo barcaiolo risulta essere un Pietro Marcuzzi da Cornino.

Il contratto col Marcuzzi viene rinnovato il 23 settem­bre 1898.